Tra le costruzioni tipiche della Puglia e del Salento in particolare, si possono annoverare i trulli della Valle d’Itria, le pajare, i trappeti (frantoi) e le masserie: ancora oggi queste strutture sono presenti sul territorio, immersi nella tipica campagna salentina fatta di uliveti secolari, terra rossa e muretti a secco.
In particolare la presenza delle masserie, oggi rivalutate e restaurate fino a diventare luoghi ricchi di lusso e charme, come ad esempio la Masseria vicino Lecce Chicco Rizzo, ha contribuito a preservare il patrimonio architettonico, storico e culturale del Salento.
È impressionante osservare oggi queste dimore fortificate come luoghi di vacanze di personalità del jet set e attori internazionali, quando in passato erano luoghi dove si svolgeva una semplice e faticosa vita contadina.
L’origine delle masserie
Le masserie salentine, nel corso della loro storia, hanno vissuto vicende politiche ed economiche che ne hanno mutato negli anni il loro destino: certamente sono il simbolo di un’Italia meridionale dove vi era povertà, umiliazioni, mancanza di diritti e ignoranza. Nonostante queste premesse, proprio all’interno delle masserie si sono affinate, seppur in modo rudimentale, materie come l’urbanistica, l’agronomia e l’ecologia. Nella masseria, l’intero nucleo famigliare lavorava: la donna badava ai polli e ai conigli, produceva conserve, formaggi e pane; i bambini stessi erano considerati un’eccezionale forza lavoro e a loro spettava portare al pascolo gli animali.
Il termine masseria deriva dal latino massa e sta a indicare una sorta di agglomerato o un’unione di terre. La prima forma di masseria risale al periodo romano ed era sostanzialmente una villa rustica nata su appezzamenti di terreni ottenute dalla suddivisione dell’agro romano, per premiare quei soldati che hanno conquistato valorosamente la Magna Grecia.
Una versione più “moderna” di masseria si ha però in epoca feudale e si presentava come una comunità monastica che metteva in pratica una sorta di economia circolare dove i monaci producevano ciò di cui avevano più bisogno.
La masseria espressione della borghesia rurale
L’arrivo dei Borboni tra il XVI e il XVII secolo comportò l’espropriazione delle terre, fino ad allora in mano agli ecclesiastici, a favore della borghesia rurale: il risultato fu la nascita di grandi latifondi in mano a un solo signore che ne affidava l’amministrazione al massaro.
Certamente nel XIX secolo, con l’avvento del Codice Napoleonico, si pensò di affidare piccoli appezzamenti di terra ai singoli contadini affinché potessero seminarli o utilizzarli per il pascolo o la legna. Si trattava però di terreni talmente piccoli che non bastavano al sostentamento della famiglia contadina che dunque preferiva venderli ai grandi signori. Si capisce bene dunque come quella borghesia rurale scomparsa nel resto d’Italia, al sud continuava ad esistere. Solo dopo i due conflitti mondiali, fu varata la Riforma Agraria che diede la terra a chi la lavorava effettivamente, espropriandola ai grandi latifondisti e segnando così il lento decadimento delle masserie.
Le masserie come piccole fortezze
Le masserie che si incontrano oggi in Salento sono costruzioni fortificate: il perché è da rinvenirsi nella storia quando, nel XIII secolo, il Salento era preda di briganti e di pirati saraceni che dal mare portavano morte e distruzione (si ricordi l’assalto turco a danno di Otranto nel 1480). Lo stesso Carlo V d’Asburgo, per arginare i nemici, varò un sistema difensivo che culminò con la comparsa di torrette difensive che ancora oggi spuntano lungo la costa pugliese e non solo.
Le masserie furono dunque cinte da mura, realizzate a secco con pietre, proprio come i muretti che abbondano nelle campagne salentine: in molti casi spuntarono persino torri che ospitavano nei piani alti gli appartamenti del padrone che poteva così controllare dall’alto le attività all’interno del podere.
Il cuore della masseria
All’interno della masseria c’era tutto, tanto che non c’era nemmeno bisogno di uscire: oltre alle aree riservate ai padroni e ai coloni, vi erano magazzini per le sementi e gli attrezzi, stalle per animali, aie per le trebbiature, un casolare dove il latte veniva trasformato in formaggio, forni e pajare. Poteva esserci anche una cappella, che di solito esprimeva non solo la fede ma anche il prestigio del signore.
A seconda poi della destinazione specifica della masseria, poteva esserci un palmento e delle vasche per lavorare il mosto oppure un frantoio, spesso ipogeo, per produrre olio di oliva.
Vistando oggi le masserie, si possono distinguere facilmente pozzi e cisterne per la raccolta dell’acqua, utilizzata per il sostentamento dell’intera comunità: vi erano anche caratteristiche pile, ovvero vasche utilizzate per abbeverare gli animali e per lavare il bucato.
L’unica parte accessibile anche agli estranei era l’eventuale mulino presente in quelle masserie più grandi.
Tra le costruzioni tipiche della Puglia e del Salento in particolare, si possono annoverare i trulli della Valle d’Itria, le pajare, i trappeti (frantoi) e le masserie: ancora oggi queste strutture sono presenti sul territorio, immersi nella tipica campagna salentina fatta di uliveti secolari, terra rossa e muretti a secco.
In particolare la presenza delle masserie, oggi rivalutate e restaurate fino a diventare luoghi ricchi di lusso e charme, come ad esempio la Masseria vicino Lecce Chicco Rizzo, ha contribuito a preservare il patrimonio architettonico, storico e culturale del Salento.
È impressionante osservare oggi queste dimore fortificate come luoghi di vacanze di personalità del jet set e attori internazionali, quando in passato erano luoghi dove si svolgeva una semplice e faticosa vita contadina.
L’origine delle masserie
Le masserie salentine, nel corso della loro storia, hanno vissuto vicende politiche ed economiche che ne hanno mutato negli anni il loro destino: certamente sono il simbolo di un’Italia meridionale dove vi era povertà, umiliazioni, mancanza di diritti e ignoranza. Nonostante queste premesse, proprio all’interno delle masserie si sono affinate, seppur in modo rudimentale, materie come l’urbanistica, l’agronomia e l’ecologia. Nella masseria, l’intero nucleo famigliare lavorava: la donna badava ai polli e ai conigli, produceva conserve, formaggi e pane; i bambini stessi erano considerati un’eccezionale forza lavoro e a loro spettava portare al pascolo gli animali.
Il termine masseria deriva dal latino massa e sta a indicare una sorta di agglomerato o un’unione di terre. La prima forma di masseria risale al periodo romano ed era sostanzialmente una villa rustica nata su appezzamenti di terreni ottenute dalla suddivisione dell’agro romano, per premiare quei soldati che hanno conquistato valorosamente la Magna Grecia.
Una versione più “moderna” di masseria si ha però in epoca feudale e si presentava come una comunità monastica che metteva in pratica una sorta di economia circolare dove i monaci producevano ciò di cui avevano più bisogno.
La masseria espressione della borghesia rurale
L’arrivo dei Borboni tra il XVI e il XVII secolo comportò l’espropriazione delle terre, fino ad allora in mano agli ecclesiastici, a favore della borghesia rurale: il risultato fu la nascita di grandi latifondi in mano a un solo signore che ne affidava l’amministrazione al massaro.
Certamente nel XIX secolo, con l’avvento del Codice Napoleonico, si pensò di affidare piccoli appezzamenti di terra ai singoli contadini affinché potessero seminarli o utilizzarli per il pascolo o la legna. Si trattava però di terreni talmente piccoli che non bastavano al sostentamento della famiglia contadina che dunque preferiva venderli ai grandi signori. Si capisce bene dunque come quella borghesia rurale scomparsa nel resto d’Italia, al sud continuava ad esistere. Solo dopo i due conflitti mondiali, fu varata la Riforma Agraria che diede la terra a chi la lavorava effettivamente, espropriandola ai grandi latifondisti e segnando così il lento decadimento delle masserie.
Le masserie come piccole fortezze
Le masserie che si incontrano oggi in Salento sono costruzioni fortificate: il perché è da rinvenirsi nella storia quando, nel XIII secolo, il Salento era preda di briganti e di pirati saraceni che dal mare portavano morte e distruzione (si ricordi l’assalto turco a danno di Otranto nel 1480). Lo stesso Carlo V d’Asburgo, per arginare i nemici, varò un sistema difensivo che culminò con la comparsa di torrette difensive che ancora oggi spuntano lungo la costa pugliese e non solo.
Le masserie furono dunque cinte da mura, realizzate a secco con pietre, proprio come i muretti che abbondano nelle campagne salentine: in molti casi spuntarono persino torri che ospitavano nei piani alti gli appartamenti del padrone che poteva così controllare dall’alto le attività all’interno del podere.
Il cuore della masseria
All’interno della masseria c’era tutto, tanto che non c’era nemmeno bisogno di uscire: oltre alle aree riservate ai padroni e ai coloni, vi erano magazzini per le sementi e gli attrezzi, stalle per animali, aie per le trebbiature, un casolare dove il latte veniva trasformato in formaggio, forni e pajare. Poteva esserci anche una cappella, che di solito esprimeva non solo la fede ma anche il prestigio del signore.
A seconda poi della destinazione specifica della masseria, poteva esserci un palmento e delle vasche per lavorare il mosto oppure un frantoio, spesso ipogeo, per produrre olio di oliva.
Vistando oggi le masserie, si possono distinguere facilmente pozzi e cisterne per la raccolta dell’acqua, utilizzata per il sostentamento dell’intera comunità: vi erano anche caratteristiche pile, ovvero vasche utilizzate per abbeverare gli animali e per lavare il bucato.
L’unica parte accessibile anche agli estranei era l’eventuale mulino presente in quelle masserie più grandi.